Il protagonista
Giovanni testarossa
Nativo di Modena, da ragazzo tifava Ferrari e amava il calcio: alla scoperta
di Piacentini che a Roma ha ritrovato la provincia...
di Pino Cerboni
Lo
hanno paragonato nientemeno che a Romeo Benetti. Stessa grinta, stesso tackle,
stesso fisico. Giovanni Piacentini, però, appena sente nominare un
nome così importante, diventa tutto rosso e respinge l'accostamento.
Eppure la rassomiglianza c'è, anche se probabilmente i due son diversi
nel carattere. Burbero e introverso, tipicamente friulano cioè, il
Romeo che allevava canarini; timido e dolce come il «pan di spagna»
Giovanni. Tutto l'opposto insomma di quello che è sul campo.
È arrivato a Roma in punta di piedi, era novembre più o meno
di un anno fa. Quando Mascetti lo presentò ai cronisti che quel giorno
erano al Bernardini di Trigoria, Piacentini riuscì a malapena a mettere
insieme due parole. Sopraffatto dall'emozione e dalla timidezza mostrò
un Iato del suo carattere che col tempo è cambiato.
Non e più l'ultimo arrivato, adesso fa parte integrante del gruppo
e al posto del giovanottello spaurito c' è ora un giocatore che sa
di essere utile alla squadra. Sì, perché specialmente ad inizio
stagione, Bianchi gli ha dato fiducia. E lui l'ha ripagata nel migliore dei
modi, inanellando una serie di prestazioni ottime. Sia in campionato, che
in campo internazionale.
È di Modena e le prime esperienze calcistiche le ha avute con la squadra
della sua città. Diviso fra la passione per la Ferrari e il pallone,
alla fine ha scelto quest'ultimo. L'amore per le macchine gli è comunque
rimasto, anche se ha tradito il «cavallino» comprandosi un'Alfa
Romeo. Che poi è anche l'unico lusso che si è concesso.
Piacentini,
infatti, non ama vivere sotto i riflettori, . rifugge la ribalta e la folla.
Per questo ha deciso di trovar casa alla Montagnola. Un quartiere tranquillo
lontano dal centro, ma vicinissimo al centro sportivo Bernardini. Lì
, alla Montagnola, gli vogliono tutti bene. Quando entra in un negozio nessuno
lo soffoca con l'abbraccio tipico del tifoso, viene salutato calorosamente
e nulla più. E lui si sente a suo agio, come se avesse ritrovato la
sua Modena in un angolo della metropoli. In quel lembo di Roma può
riassaporare i gusti sani e tranquilli della provincia. Una provincia, ben
inteso, molto ricca, composta da gente alacre. Anche Giovanni nasce da una
famiglia che ha sempre lavorato. Suo padre, infatti, è il titolare
di un'azienda che conta ben 70 dipendenti.
A Roma, specie nei primi tempi, una famiglia di sfegatati tifosi giallorossi
lo ha praticamente adottato. Per non farlo sentire solo gli hanno messo la
propria casa a disposizione e lo hanno seguito ovunque, anche quando Giovanni
è stato chiamato da Cesare Maldini nella Under 21. In maglia azzurra
l'itinerario è stato lo stesso che ha percorso con quella giallo rossa.
Appena convocato, infatti, è entrato in squadra e non ne è più
uscito fino alla fine dell' awentura europea.
Sembra insomma essere questa la sua prerogativa migliore. La determinazione
e la volontà che mette in tutto quello in cui si impegna, fanno sì
che alla fine riesca a raccogliere sempre qualche frutto. Si definisce un
orgoglioso, talmente orgoglioso che spesso s'impermalosisce. Un male? Tutt'altro.
Anzi dimostra tutto il carattere che serve per andare avanti in un mondo,
specie quello calcistico, che non concede spazi agli
indecisi. E lui, come detto, indeciso non lo è nè nella vita
privata, nè tantomeno sul terreno di gioco. I tackle da brivido, le
rincorse testarde nei confronti di un avversario che fugge, l'animus pugnandi
che lo muove in ogni partita sono le sue credenziali. Che lo hanno portato
anche a non immalinconirsi quando sembrava che il grande calcio per lui fosse
un sogno non realizzato. Erano famosi e promettenti, lui e Longhi, quando
giocavano nel Modena. Li chiamavano i gemelli. Molti osservatori erano andati
a spiarli e gli avevano pronosticato un futuro roseo e miliardario. Assieme
sono andati a Padova in attesa di un ulteriore salto di qualità. Che
però tardava ad arrivare. Nel quale, ad un certo punto, sembrava non
ci fosse più motivo di credere. Poi è arrivata la Roma, Mascetti
lo ha rispolverato e gli ha fatto conoscere la serie A.
Timido e testardo, ha com incito a lavorare in silenzio con l'umiltà
necessaria, accontentandosi di scampoli di partita, di ritagli lasciati da
altri. Quindi si è presentato in ritiro deciso a conquistarsi quanto
credeva (giustamente) che gli appertenesse. E sempre in silenzio, sempre con
la solita determinazione ha ripreso a macinare. Chilometri e concorrenti.
E alla fine ha raggiunto il traguardo. Ha assaporato che cosa significa essere
titolare.
Non è cambiato, è rimasto il ragazzo di sempre. Gli capita ancora
di arrossire per un complimento o per un paragone che reputa azzardato. Probilmente
non cambierà mai. Meglio così.
Tratto da La Roma dicembre 1990
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